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Elementi della Tradizione Religiosa

SICUREZZA E DIGNITÀ

La religiosità indoeuropea non nasce dalla paura, né di un dio né della morte. Gli uomini e gli Dei hanno ruoli e compiti definiti. Gli Indoeuropei credevano in cicli eterni di mondi che nascono e tramontano, accompagnati da ripetuti "crepuscoli degli Dei" e cataclismi che portavano alla nascita di nuovi mondi e Dei.

La religiosità indoeuropea non vedeva l'uomo come schiavo di un potente Signore Divino, un concetto tipico dei popoli semiti, dove Dio è visto come sovrano e gli uomini come servi. Per gli Indoeuropei, onorare una divinità significava soprattutto coltivare il rispetto e la venerazione, senza il concetto di schiavitù insito nelle culture semite.

Nel cristianesimo, l'umiltà è considerata una virtù, ma questo sentimento di servilismo non è indoeuropeo, bensì frutto di una sensibilità religiosa orientale. Gli Indoeuropei pregavano in piedi, con dignità, nella loro pienezza di uomini, di fronte al loro Dio o ai loro Dei. Ogni forma di religiosità che sminuisce l'uomo di fronte a una divinità opprimente non è indoeuropea. Ogni religiosità che giudica basse e inutili parti dell'uomo e del mondo per deviare lo spirito umano verso beni ultraterreni non è vera religiosità indoeuropea. La religiosità indoeuropea valorizza questo mondo, rifiutando la svalutazione del mondo terreno a favore di uno ultraterreno.

La religiosità indoeuropea non è servitù ma una comunità fiduciosa tra uomini e Dei, caratterizzata da un'elevata amicizia tra di loro. Gli Indoeuropei riconoscevano anche la finitezza dell'uomo di fronte all'infinitudine della Divinità, una consapevolezza che ha ispirato le grandi tragedie delle loro letterature.


DESTINO

La concezione indoeuropea del destino non implica un'angoscia del fato o una ricerca di redenzione. Gli Indoeuropei affrontavano il destino con gioia profonda e forza d'animo, vedendo nei colpi del destino una preparazione divina per riaffermare se stessi. Questo sentimento è ben rappresentato nella letteratura indoeuropea e nella tragedia, dove il destino viene abbracciato con amore (amor fati), come descritto da Nietzsche.

Gli Indoeuropei non hanno mai adottato un fatalismo degradante, mantenendo sempre la consapevolezza della loro vocazione al combattimento, come esemplificato nella Bhagavad-Gita. Qui, Krishna incita Arjuna a combattere senza macchiarsi di colpa, esprimendo il vero sentimento indoeuropeo del destino.

L'idea di redenzione è estranea al mondo indoeuropeo, che al massimo contempla un'autoliberazione attraverso la purificazione dell'anima. Questa autoliberazione è una ricerca di elevazione interiore, in cui l'individuo supera le proprie passioni e limitazioni.

Nel mondo indoeuropeo, il destino è spesso visto come superiore agli stessi Dei, con varie culture indoeuropee che hanno termini specifici per designarlo. Gli Elleni parlano di moira, i Germani di wurd, e gli Indiani di karma, associato alla trasmigrazione delle anime.

La Chiesa ha cercato di sostituire la concezione indoeuropea del destino con quella di provvidenza, ma senza successo. Tra gli uomini di pensiero. Kant, ad esempio, critica la provvidenza come un dispotismo cieco e privo di moralità.

Gli Indoeuropei non desideravano essere redenti dalla loro lotta contro il destino, vedendo in tale redenzione una fuga. La loro religiosità è caratterizzata dalla volontà di affrontare il destino con dignità e onore, onorando così la divinità che è in loro. Essi non hanno mai immaginato di diventare più devoti separando questo mondo dall'altro, avvilendo il mondo terreno in favore di un aldilà ideale.

La religiosità indoeuropea è una religiosità aristocratica, caratterizzata da una ferma coscienza del proprio valore e da una dignitosa riservatezza. Questa religiosità, non può essere la religione di tutti, data la sua origine e natura esclusiva.


DIGNITÀ ED EQUILIBRIO

Nella relazione con la divinità, gli Indoeuropei cercano di affrontare la divinità con la loro umanità integra, mantenendo un equilibrio nelle loro forze e rispondendo alla dignità misurata che la loro natura può esprimere. Concetti come la "tranquillità sovrana" e la "dignità misurata", enfatizzati da Heusler, sono tratti ricorrenti nell'intero mondo indoeuropeo, radicati nelle loro antiche disposizioni ereditarie. Questa nobiltà equilibrata forma il fondamento della religiosità indoeuropea, dove la devozione preserva un equilibrio anche di fronte alla divinità.

La visione indoeuropea di un ordine cosmico richiede che la moralità individuale si integri in questo ordine. I valori dell'onore, della fedeltà, del coraggio virile, della pudicizia e della pace sono riaffermati come parte integrante di questa visione. Gli Indoeuropei considerano ogni aspetto del loro essere degno di fronte alla divinità, ignorando il dualismo anima-corpo. Questa prospettiva deriva dalla volontà di mantenere un equilibrio tra le diverse componenti umane. Anche se concepiscono anima e corpo come entità distinte, vivono in un equilibrio armonioso di entrambi.

Per gli Indoeuropei, l'idea di un corpo come prigione sporca per un'anima desiderosa di un aldilà è completamente estranea. L'interiorità ed esteriorità dell'uomo si uniscono nell'atto del raccoglimento religioso, trovando un reciproco equilibrio. Pertanto, qualsiasi forma di mortificazione dei sensi è vista come una distorsione della loro natura.

Nel mondo indoeuropeo, l'unità anima-corpo è stata una costante fondamentale. L'equilibrio tra interiorità ed esteriorità si realizza nel momento del raccoglimento religioso, dove queste dimensioni si integrano armoniosamente. Gli Indoeuropei vedono ogni forma di mortificazione dei sensi come estranea e distorcente rispetto alla loro natura umana. La loro religiosità si caratterizza per un'anima in sintonia con il corpo e il mondo circostante, con il divino presente ovunque. Questa convinzione li porta al politeismo, riconoscendo che le divinità sono aspetti parziali di una realtà divina più ampia.

Le forme mistiche panteistiche degli Indoeuropei si differenziano nettamente dalle concezioni semitiche, dove le divinità sono fortemente personalizzate. Mentre nel panteismo indoeuropeo il divino è visto diffuso in tutto, nelle tradizioni semitiche Dio è concepito come una figura personale, come afferma T. H. Robinson. Secondo Arthur Drews e Hermann Güntert, il panteismo rappresenta una caratteristica fondamentale della religiosità indoeuropea, radicata nell'identità razziale e nella mentalità di queste popolazioni.


ORDINE SAPIENTE

Famiglia, stirpe, stato, religione e diritto, il corso dell'anno e le celebrazioni, le regole morali e spirituali, la coltivazione dei campi e la cura della casa: tutto ci riconduce ad un Ordine cosmico. Nell'ambito di questo Ordine, l'uomo vive come membro di una stirpe che si perpetua attraverso le generazioni. In Grecia, questo si esprime nel culto di Hestia, mentre presso tutti i popoli ariani trova espressione nel culto del focolare. All'interno di questo Ordine mondano si inserisce anche l'ordine divino delle generazioni, essenziale per la conservazione dell'eredità razziale, considerato un dono degli Dei e trasmesso attraverso selezionati nuclei familiari. La protezione del sangue è quindi una necessità deducibile dall'Ordine cosmico e allo stesso tempo una manifestazione immediata del sentimento religioso indoeuropeo.

Da qui deriva la sacralizzazione della vita sessuale nel mondo indoeuropeo, gli onori tributati alla signora della casa (déspoina, matrona) come custode dell'eredità razziale, la venerazione degli antenati, il culto dei divi parentes. Questa religiosità indoeuropea si esprime nell'idea di "allevare" uomini, nella selezione attenta del coniuge, nell'eugéneia, mirando a una nobiltà del sangue superiore. In questa concezione del kósmos, l'uomo appare inserito ma non imprigionato, a differenza delle religioni orientali basate sulla divinazione e sulla supremazia sacerdotale (come la lettura delle viscere o il volo degli uccelli praticato dai babilonesi e dagli etruschi), facendo parte di un Ordine intelligente. L'indoeuropeo si sente legato al suo dio da un rapporto di fiducia che riguarda anche l'ordine terrestre, combattendo insieme a lui e alle divinità della sua razza contro le forze nemiche del divino, contro il caos, contro Utgard.

Per l'indoeuropeo, il mondo è il terreno naturale della sua disposizione agricola. La parola cultura deriva da colere, e lui desidera vedere piante, animali, e uomini crescere e svilupparsi vigorosamente, affermandosi pienamente all'interno dell'Ordine eterno. La colpa per l'indoeuropeo è una violazione dell'Ordine, non un "peccato", e sorge quando l'uomo, per orgoglio o testardaggine, si oppone all'Ordine per imporre le sue limitate ambizioni.

Midgard, il mondo dell'Ordine, si conserva e si rinnova attraverso la continua e eroica lotta dell'uomo accanto alla divinità contro Utgard e le potenze che minacciano lo spirito divino. Midgard rappresenta la più profonda collaborazione tra tutte le leggi divine e il pieno valore e onore dell'uomo. La concezione indoeuropea del rita, dell'asha, del kósmos e del Midgard dimostra che la religiosità ariana era legata al concetto di arricchimento della vita, valorizzando tutti i valori accrescitivi. Questa religiosità vede l'uomo, che nutre "l'anima grande", presentarsi davanti alla divinità come mahatma ("anima grande"), megalópsykos, con una vera magnitudo animi ariana, con la stormenska degli islandesi, l'hôchgemuete dei cavalieri del medioevo tedesco.


MORTE

La morte per gli Indoeuropei rappresenta un fenomeno significativo nella vita umana, inserito nell'Ordine razionale del mondo. Gli ariani affrontano la morte con la stessa compostezza e forza con cui ancora oggi i contadini tedeschi la contemplano. Per coloro che sono ben nati, una vita umana completa è possibile su questa terra, se si dispiegano le proprie capacità in modo misurato e dignitoso, poiché la morte individuale è parte integrante dell'Ordine cosmico.

Nell'indoeuropeo, l'Ordine è mantenuto attraverso la strenua lotta dell'uomo al fianco delle divinità contro le forze contrarie al divino. Questo concetto non contempla la redenzione. Per l'indoeuropeo, non esiste un male da cui redimersi, né una vita migliore da cercare altrove. Midgard non è considerato un male; Utgard deve essere affrontato con azione e combattimento, vivendo pienamente nella amicizia con le divinità e nell'affermazione misurata all'interno di un Ordine intelligente.

Di conseguenza, l'idea di redenzione non ha rilevanza nella religiosità indoeuropea autentica, che non conosce figure di redentori o salvatori come si trovano nelle tradizioni estese dall'Egitto alla Siria, attraverso l'Asia Minore fino all'India.


SACERDOZIO

Il sacerdote, inteso come interprete della tradizione nazionale di un popolo e come figura che arricchisce e sviluppa il mondo religioso della propria stirpe, rappresenta un tratto distintivo delle civiltà indoeuropee.

Diversamente, il prete visto come fanatico propagandista di un credo, mosso da una volontà profetica di dominare gli spiriti e di vincolare strettamente i credenti tra loro, è una figura estranea e non accettata dagli indoeuropei.

Questo rifiuto si radica nella natura stessa della religiosità ariana, tipica della razza nordica, che si distingue per un senso di nobile contegno e per il rigoroso rispetto delle distanze, sia fisiche sia spirituali, tra gli individui.


ASPETTO DELLA FEDE E RIVELAZIONE

La fede indoeuropea si distingue per la moderazione e il controllo, in contrasto con l'esaltazione e il fanatismo tipici delle religioni semitiche. Sebbene gli Indoeuropei conoscessero forme di ebbrezza spirituale, queste erano sempre guidate da un'anima che anela alla misura. La libertà, come descritta da Tacito, è fondamentale per gli Indoeuropei e si contrappone alla dominazione che sorge quando la libertà è ridotta a semplice soddisfazione dei bisogni materiali.

Lo zelo fanatico per una fede, il fanatismo come volontà di convertire gli infedeli, la convinzione che solo la propria fede procuri la "beatitudine", e il fanatismo come odio degli "altri Dei" che spinge alla persecuzione dei seguaci di altre fedi, sono tutti tratti che caratterizzano le religioni delle razze levantine e semitiche. Nella religiosità indoeuropea manca il concetto di una predicazione agli infedeli. Si manifesta qui quel senso nordico della distanza tra gli uomini, unito a un profondo rispetto per l'interiorità altrui.

L'ecclesizzazione di una fede è un tratto distintivo della spiritualità delle razze desertiche, e per questo motivo non si è mai sviluppata una chiesa tra gli Indoeuropei. La comunità indoeuropea non si è mai trasformata nella chiesa dei fedeli di un Verbo, poiché tale trasformazione sarebbe contraria alla particolare religiosità dell'anima Ariana, come manifestato nei singoli popoli indoeuropei. Tacito descrive i Germani come abitanti "ciascuno per sé, lontani gli uni dagli altri" (colunt discreti ac diversi), riflettendo l'amore per la solitudine e il distacco dagli altri. Con tale predisposizione, può svilupparsi una fiduciosa e taciturna solidarietà di fede tra individui liberi, non una comunità invasata da uno spirito che, nel suo zelo, dissolve ogni residuo di personalità nei singoli.

La religiosità indoeuropea non ha sviluppato religioni rivelate fondate su una figura storica, né conosce il concetto di conversione fanatica o intolleranza religiosa. Gli Indoeuropei rispettavano le diverse convinzioni religiose e non cercavano di imporre la loro fede ad altri. La religiosità indoeuropea è inconcepibile senza tolleranza e non richiede ortodossia. Le comunità religiose indoeuropee non si sono mai trasformate in chiese organizzate, poiché la loro fede non si basava su un Verbo rivelato e non vedevano la necessità di una casta di teologi separata dalla comunità.

Non è in seno a una chiesa che la religiosità indoeuropea può trovare il suo più felice sviluppo, ma in uno stato che garantisca un contatto con le forze profonde della razza. L'ariano si isolava per pregare, ma accanto a questa orazione del singolo esisteva la preghiera collettiva per lo stato, forme che erano egualmente libere da quel carattere obbligatorio che la preghiera assume presso i popoli di lingua semitica.

La fede indoeuropea si esprimeva meglio in uno stato che garantisse un contatto con le forze profonde della razza, come nel Gau germanico, la civitas romana o la pólis greca. Queste organizzazioni politiche riflettevano l'ordine religioso indoeuropeo, libero da obbligazioni caratteristiche delle preghiere semitiche. La religiosità indoeuropea si manifestava attraverso una mistica che cercava un contatto diretto con la divinità, più che attraverso dogmi ecclesiastici.


MISTICA

Non tutte le forme di mistica sono compatibili con la sensibilità religiosa ariana. Sono escluse quelle tipiche delle tradizioni semitiche levantine, inclusa la mistica islamica del rapimento estatico. L'aspirazione indoeuropea è invece rivolta alla forma e all'ordine, accompagnata dal dovere di combattere il disordine. Contro queste forme di mistica si erge l'aspirazione indoeuropea alla forma, uno sguardo posato sull'ordine formato del mondo congiunto al sentimento ariano del dovere che impone di lottare contro il disordine in tutte le sue forme, contro Utgard. La mistica indoeuropea non contempla la segregazione dell'anima, l'inerzia o la contemplazione oziosa. L'anima ariana, anche nella contemplazione, raggiunge una chiarezza superiore, rimanendo sempre consapevole di sé stessa. La mistica indoeuropea è propria di anime grandi che, in contemplazione di se stesse, scoprono nelle profondità dell'anima individuale un'anima universale.

Nel misticismo indoeuropeo, la contemplazione dell'anima si unisce alla contemplazione dei vasti spazi dell'essere. Non troviamo un senso di chiusura verso l'esterno, ma piuttosto un aprirsi, un dischiudersi. Nei momenti più sublimi, l'anima ariana, mediante la contemplazione, la theoria, partecipa dell'"Uno-Tutto" (èn kai pán), dottrina delle più antiche Upanishad e insegnata dai grandi presocratici come Eraclito, Senofane e Parmenide.

Una filosofia dell'unità del tutto, tipicamente indoeuropea, si manifesta chiaramente nello sguardo ampio e inclusivo che questi popoli avevano sul mondo. Questo è evidente nelle risposte degli Scandinavi ai missionari cristiani, quando affermavano di credere nella "divinità", nella sua "potenza" (màtt) o "forza" (megin). Questa forza interiore colmava l'animo di divina pienezza e di una mistica divinità del mondo. Sebbene i missionari vedessero tali risposte come arroganti o sacrileghe, esse riflettevano la certezza di un "dominans ille in nobis deus", un'impersonale "divinità" che dimora dentro di noi.

La religiosità indoeuropea si manifesta come "religione naturale", una naturale attitudine del vero uomo Ariano, scaturente da una mente intrepida e da un cuore colmo di venerazione. La forza di una mente libera da vincoli e la spontanea accettazione dell'ordine divino si integrano e completano reciprocamente. Quanto più l'uomo cresce nella sua umanità, tanto più il suo animo si fa sacro. In questa religiosità non esiste coercizione, fede fanatica o paura di non fare abbastanza per accontentare la divinità: libertà, dignità e la naturale padronanza dell'animo nobile anche nel momento della più profonda commozione sono i tratti distintivi della più pura religiosità indoeuropea. La religiosità e la moralità indoeuropee non sgorgano dai comandamenti di un Dio che promette e minaccia, ma dallo stesso sentimento dell'umana dignità, dalla humanitas, dalla dignitas di un uomo di nobile nascita e di nobile cuore, un fortis animus et magnus, come diceva Cicerone, che si prefigge ciò che è onorevole (honestum) perché in lui la ragione signoreggia le passioni.


RELIGIOSITÀ

La religiosità indoeuropea si distingue dalla religiosità biblica nel suo sviluppo autonomo, non derivante da prescrizioni esterne o comandamenti divini come l'amore del prossimo (agápe). Essa nasce piuttosto dal senso intimo di dignità umana, che include un sentimento di umanità, solidarietà, benevolenza (maitrt in sanscrito, metta in pali, filanthropia o synpátheia in greco, benevolentia o comitas in latino).
 

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